lunedì 2 novembre 2015

P380: evacuare la zona.

C’era chi mi diceva “siediti e aspetta che ti passi”, quando manifestavo il mio blando interesse nella possibilità di tenere un blog. Per diversi anni ha funzionato.

Poi c’era chi mi diceva “fallo”, forse nel senso di imperativo del verbo fare, o forse nel senso di “scorrettezza passibile di espulsione”, chissà. In effetti, l’idea di avere uno spazio in cui imporre ad altri il turpiloquio che spesso ha luogo nel mio cervello, nonché i deleteri momenti di masturbazione mentale, potrebbe considerarsi un comportamento poco sportivo: avere la mia capacità innata di essere una scocciatura è un po’ come barare.

Ma tant’è, eccomi qui, con un blog dal titolo che è tutto un programma e un’evocativa frase di prudenza, di quelle che si trovano sui flaconi delle sostanze chimiche più pericolose, come titolo del primo post.
Inutile dirlo, spero che NON seguirete il consiglio. 

Mi sono finalmente decisa perché mi capita spesso di avere qualcosa da dire, di avere voglia di comunicare, e di avere voglia di farlo in un modo un po’ più immediato di quanto non sia aprire una pagina di word e cominciare a scrivere una storia che chissà se mai avrà una fine, chissà se qualcuno leggerà mai, e chissà quando. La voglia di dire qualcosa va di pari passo con la voglia di dirlo a qualcuno (possibilmente qualcuno che non sia più interessato al vestito di Elsa che a me o che non mi risponda con un emblematico “brum brum?”, ma questo è un discorso diverso) perciò spero che col tempo ci sia qualcuno che si diverte a venire a chiacchierare nel mio… stavo per scrivere “salotto”, ma poi mi sono resa conto che mi veniva subito in mente un tavolino con la tovaglia di pizzo, un divanetto ordinato e un servizio da tè, e chi mi conosce sa che queste cose con me c’entrano come i cavoli a merenda. O la birra alle sette di mattina (se non hai cittadinanza germanica). O una bottiglia di vino ad una festa di bambini, che ci vorrebbe sempre ma non c’è mai. Perciò facciamo che questo non è un salotto, ma una veranda, o un gazebo in giardino, magari con quelle sedie a sdraio un po’ scolorite e sporche di qualche cacca di piccione. E facciamo che è una bella sera d’estate, perché a me piace stare a piedi nudi sul prato, e che ci sono birre fresche per tutti. E poiché siamo in un giardino, siamo anche liberi di ascoltare musica a tutto volume, ridere forte, strillare se ci va. E dire parolacce, tanto facciamo che è tardi e bimbi sono a letto, ecco.
(Lo so che non è fine, ma io di parolacce ne dico tante. Forse perché mi trattengo quando ci sono i miei figli e prima o poi devono uscire. )
Comunque, facciamo che non abbiamo vicini rompipalle e che questo è un posto in cui possiamo esprimerci. Facciamo però anche un’altra cosa: non facciamo i vicini rompipalle tra noi. Altrimenti poi volano le bottiglie e se ci sono i vetri rotti sul prato a piedi nudi non ci si può più stare.


A presto, allora. L’ultimo che arriva si becca l’analcolico.

2 commenti:

  1. Alle mie feste di bambini, il vino lo porto sempre io. Per cui alla prossima ti invito, e ci mettiamo in un angolo a turpiloquiare insieme. Benvenuta, tesoro, sono davvero felice di questa tua iniziativa!

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    1. Sapevo che la minaccia di un analcolico con te avrebbe funzionato. Ti ho tenuto al fresco una birra rossa, passa quando vuoi!

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