domenica 14 febbraio 2016

Neve e caffè - Pamela&Flavio

“Apri, per favore. Ho le braccia piene, non so dove ho le chiavi.”
Flavio sorrise al citofono, aprì la porta del condominio poi uscì dall’appartamento per correre incontro a Pamela sulle scale. Si incrociarono sul pianerottolo del primo piano e Flavio le prese dalle braccia un grosso scatolone; Pamela respirò.
“Grazie. Era pesante.”
“Freddo fuori?” chiese Flavio.
“Si gela.”
“Melania?”
“Con mia madre. Ho pensato di prendermi una serata, magari andiamo al cinema: è quasi di un mese che non usciamo.”
Flavio, che intanto era arrivato alla fine delle scale, lasciò passare Pamela, poi entrò nell’appartamento e si richiuse la porta alle spalle con un calcio.
“Ok. Io devo ancora farmi la doccia, però. Tu intanto inizia a sistemare un po’ delle tue cose, ti ho liberato metà dell’armadio.”
“Ok, tranquillo.”
Pamela seguì il suo ingresso in bagno con la coda dell’occhio.
Jeans da lavoro ancora integri. Dovevano essere stregati, non c’era altra spiegazione.
Sorrise tra sé e lasciò cadere la giacca umida sul divano. Una pioggia gelida aveva iniziato a cadere dal cielo scuro e minacciava di trasformarsi in neve durante la notte; Pamela guardò fuori dalla finestra e si costrinse a non sentirsi in colpa per aver lasciato Melania dalla nonna. Era improbabile che cadesse tanta neve da impedirle di mettersi in strada la mattina successiva per tornare da lei.
Cominciò a togliere alcune cose dallo zaino per metterle nell’armadio. Quei maglioni e pantaloni pesanti che si accumulavano sul ripiano facevano sembrare giugno ancora molto lontano, e con esso, anche il matrimonio - per cui la famiglia di Flavio stava già letteralmente andando in crisi isterica, mentre il Vecchio si era chiuso in un ostinato, e chiaramente emozionato, silenzio - sembrava un obiettivo quasi irreale. Non vivevano ancora insieme, ufficialmente, ma Pamela aveva già iniziato a pensare a quell’appartamento come a “casa”: era stato naturale portare qui parte delle proprie cose.
E delle cose di Melania, pensò, tirando fuori dallo scatolone la coperta che Sabrina aveva regalato ad entrambe per il loro primo Natale. La lanciò sul lettino che ora troneggiava nell’angolo della camera da letto, dove prima c’era la scrivania di Flavio. Era successo all’improvviso: un giorno era arrivata e la scrivania era sparita, volata sul soppalco/ripostiglio che prima ospitava solo un mucchio di cuscini, una vecchia televisione e la play station di Flavio. Il soppalco era stato ripulito delle cianfrusaglie ed era diventato uno studio, e Melania aveva guadagnato quel - discutibile - posto d’onore a pochi metri dal lettone.
Pamela ancora si chiedeva dove fosse la fregatura.
Il gattone rosso che regolarmente saltava a dormirle sui piedi sembrava un ben misero contrappasso per tutto ciò che aveva ricevuto dal destino negli ultimi due anni.

Flavio uscì dal bagno e trovò Pamela che già si stava cambiando per uscire.
“Pensavo volessi andare al cinema. Non è un po’ presto?”
Pamela gli sorrise, sbucando dal collo alto di un maglione nero aderente. Le gambe lunghe erano ancora nude.
“Andiamo prima a prendere un aperitivo, o a fare un giro,” disse avvicinandosi e facendogli scivolare le braccia attorno al collo. I capelli sulla nuca erano ancora umidi. “Ho voglia di uscire e mi sento in colpa a tenerti sempre in casa per colpa di Melania.”
Flavio alzò gli occhi al soffitto, sbuffando, poi afferrò Pamela per le gambe e se la caricò in spalla; Pamela strillò, ridendo.
“O la smetti o ti lancio sul letto e ti faccio il solletico finchè non implori pietà.”
Pamela si contorceva ridendo.
“No, ti prego, ti prego…”
Flavio la rovesciò sul letto poi le bloccò i polsi ai lati del viso. Il viso di lui era a pochi centimetri da quello di Pamela, e nei suoi occhi danzava un sorriso.
“Se hai voglia di uscire, usciamo. Ma non dire che lo fai per me.”
Pamela si allungò per baciarlo.
“Ok,” sussurrò.
“Per me possiamo anche stare tutta la sera a mettere i tuoi libri nella libreria. Non è un problema.”
Pamela si mise a ridere.
“Per quelli non basterebbe una sera! Ma per tua fortuna non li ho ancora portati.”
“E allora nello scatolone cosa c’era?”
Pamela sgusciò via da lui, ridendo.
“Vieni!”
Corse in cucina, a piedi nudi e indicò qualcosa sul ripiano vicino al fornello. Flavio arrivò un minuto dopo e notò ciò che prima non c’era: una macchina per il caffè espresso. Anzi: la macchina per il caffè espresso, quella che lui le aveva regalato per Natale, quando ancora Pamela pensava che la sua vita fosse troppo complicata per poter includere anche lui.
La loro macchina del caffè.
Flavio le sorrise.
“Adesso la senti come casa tua?”
Pamela annuì.
“Sta bene lì, no?”
Flavio finse di valutare la resa estetica del nuovo elettrodomestico, poi scosse la testa.
“No, manca qualcosa.”
Velocissimo, acchiappò Pamela per la vita e la sollevò, mettendola a sedere sul ripiano, di fianco alla macchina per il caffè. Pamela rise, attirandolo verso di sé e Flavio si sistemò tra le sue gambe nude, accarezzandole piano piano.
“Adesso è perfetta,” mormorò sulle labbra di lei, “Penso che dovrò tenerti qui, altrimenti manca qualcosa…”
“Qui, sul ripiano della cucina, intendi?”
La domanda era scherzosa ma Flavio ci mise un po’ a rispondere, impegnato com’era a far scivolare le mani dalle ginocchia alla vita, lentamente, insinuandole sotto al maglione.
“Sul ripiano, sul tavolo, sul divano, sul letto,” elencò lui, torturandole il collo con le labbra. Nella sua voce c’era divertimento, serenità, e anche qualcosa di più. “Dove vuoi, come vuoi: basta che tu ci sia.”
Pamela inghiottì il nodo di emozioni che all’improvviso le aveva chiuso la gola.
“Non vado da nessuna parte. Ma sono un po’ ingombrante come soprammobile,” mormorò.
La frase era formulata al singolare, ma tutti e due sapevano a cosa si stava riferendo Pamela. L’ormai logorroico avvertimento, l’ombra di paura sempre in agguato: che insieme a lei c’era una bambina, che la bambina non era sua, e che prendere una significava dover prendere anche l’altra. Un accordo davanti al quale molti sarebbero scappati.
Flavio strinse possessivamente le mani sui glutei di Pamela: quando entravano in quel discorso era sempre come se lei, impercettibilmente, tentasse di scivolargli via tra le dita come neve sciolta.
“Senza di voi non ci sarebbe niente qui.”
Qui, in questa casa.
Qui, nel mio cuore.
Flavio la baciò, schiacciandosi contro di lei.
“Siamo già una famiglia. Il fatto che stasera sia contento che siamo solo noi non vuol dire che questo posto sia completo senza di lei.”
Pamela finì di slacciargli la camicia e accarezzo quella pelle nuda, in silenzio per il timore che la voce tradisse le lacrime di gratitudine che volevano uscire ogni volta che lui le parlava in quel modo.
Quando fu sicura di poter parlare di nuovo sollevò le braccia sopra la testa, invitandolo a sfilarle il maglione.
“Allora approfittiamo di questa serata, che domattina le ho promesso di tornare a prenderla per una colazione al bar,” sussurrò.

“Mi sa che abbiamo perso lo spettacolo.”
Pamela era persa nel calore della pelle di lui: la schiena appoggiata al suo petto, la testa sul suo braccio, le loro gambe intrecciate. La luce tenue dei lampioni entrava dalla finestra, illuminando i fiocchi di neve che avevano iniziato a cadere. Sul pavimento, di fianco al divano su cui erano sdraiati, c’erano una bottiglia di vino ancora a metà e due bicchieri: uno si era rovesciato, dovevano averlo urtato senza accorgersene.
“Lo abbiamo dato noi, lo spettacolo,” mormorò Pamela, accennando alla finestra della casa vicina, dalla quale chiunque avrebbe potuto osservare comodamente cosa era successo dentro la loro cucina. L’appartamento di Flavio non aveva tende.
Non ancora, pensò Pamela. Era l’unica cosa su cui si sarebbe impuntata prima di trasferirsi ufficialmente: abituata a vivere in campagna, non le veniva naturale pensare che qualcuno avrebbe potuto vederla mentre girava per casa seminuda.
Flavio ridacchiò.
“Là ci vive una vecchietta che sarà a letto almeno da due ore.”
“Se lo dici tu…”
Il ragazzo la costrinse a voltarsi verso di lui. Nella penombra i suoi occhi brillavano di un’emozione quasi infantile.
“Non preoccuparti,” disse. “Ho iniziato a fare dei disegni.”
Pamela sollevò un sopracciglio.
“Per le tende?”
Ci voleva un progetto per mettere su le tende?
Flavio rise.
“Per il fienile.”
Pamela ci mise due minuti buoni a capire che lui si stava riferendo al vecchio fienile dietro casa dei suoi genitori. Spalancò gli occhi.
“Pensi che i tuoi ci permetteranno di ristrutturarlo? Ci vorrà del tempo, e dovremmo fare un po’ di sacrifici, ma…” Flavio parlava in fretta, eccitato come un bambino e, allo stesso tempo, quasi impaurito da quella che avrebbe potuto essere la reazione di lei.
Pamela lo azzittì con un bacio.
“Dov’è la fregatura?” mormorò ridendo.
Flavio sorrise.
“La fregatura è che adesso non mi va per niente di uscire, ma oggi non ho fatto la spesa e in casa ho solo un pacchetto di patatine.”
“Poteva andare peggio,” rispose Pamela, “poteva essere finito il vino.”



NOTA:

Non ho mai vissuto particolarmente la festa di San Valentino, non l'ho mai sentita come speciale, e questo è il motivo per cui non ho esplicitamente ambientato questa scena con Flavio e Pamela nella serata a San Valentino. Tuttavia crescendo ho imparato che la vita ci mette davanti tante prove, tanti imprevisti, e ogni occasione può essere bella per festeggiare, anche perchè poi, magari, durante le feste a cui tieni, ti tocca stare a casa perchè un bimbo è malato, o andare al pronto soccorso perchè il nonno è caduto, o semplicemente ci sono altri guai, altri problemi che calamitano la tua attenzione. Perciò non mi vergogno ad augurare a chiunque abbia qualcuno da amare oggi, Buon San Valentino!