venerdì 8 aprile 2016

Perchè dovrei?

Volevo scrivere un post con la recensione di alcuni libri che ho letto. Per giorni ho pensato a cosa scrivere. Poi ho pensato: ma perché dovrei?

Non mi piace scrivere recensioni. È evidente: il mio profilo su Goodreads è desolato, quello su amazon pure e su Anobii nemmeno ho mai pensato di farne uno. Mi rendo conto che è intrinsecamente egoista, perché poi adoro quando qualcuno le recensioni le fa a me.
Non fraintendetemi: adoro parlare dei libri che leggo. Adoro chiacchierare di libri e di letture, magari davanti a una birra, raccogliere consigli, notare le differenze tra i miei gusti e quelli degli altri, vedere come si colgono aspetti diversi dello stesso libro, o dello stesso personaggio, con impressioni a volte proprio agli antipodi. Sarò grata in eterno per serate come quella che ho appena descritta e so di essere stata fortunata: nella mia vita ci sono stati tanti momenti così, con molte persone diverse, fin da quando ero bambina.
Sono cresciuta con i libri, l’ho scritto anche nell’incipit del mio libro di fiabe. Circondata dai libri, sepolta dai libri, con una madre meravigliosa che magari non mi comprava vestiti costosi, o mi faceva aspettare Babbo Natale per la Barbie che desideravo, ma mi ha sempre detto che i soldi spesi in libri non vanno mai rimpianti. Sono cresciuta lettrice ed è quello che resto, che voglio rimanere. Sono una lettrice, non un critico. E sono anche molto più lettrice di quanto io non sia scrittrice.
Fatico molto a formulare opinioni sui libri che leggo, a coordinare i pensieri in modo lineare, obiettivo, completo, un’opinione che altri possano trovare utile nel momento in cui vogliono decidere se leggere o meno quel libro, insomma. Se un libro non mi è piaciuto preferisco semplicemente tacere, smettere di considerarlo o di pensare ad esso, elaborare una recensione negativa, o peggio denigrante, mi sembrerebbe uno spreco di tempo, tempo che potrei utilizzare leggendo libri migliori. Raramente ho trovato recensioni negative utili, nel momento in cui ero io a dover scegliere se leggere un libro o meno, e soltanto quando si specificava l’eventuale mancanza di correttezza linguistica del romanzo. Ogni altro tipo di commento negativo difficilmente riesce a spostare la mia decisione: troppo opinabile, troppo dipendente dal gusto personale o anche dallo stato d’animo della persona che ha formulato il giudizio negativo. Al contrario, una recensione positiva può attirare la mia attenzione su qualcosa che altrimenti non avrei scelto: chi usa parte del proprio tempo per esporre i motivi per cui ha trovato di proprio gradimento un libro ha tutto il mio rispetto, la mia ammirazione e il mio ringraziamento, nel momento in cui proprio grazie a quel commento scopro romanzi o autori che altrimenti non avrei considerato. Io però raramente riesco a ricambiare questa enorme gentilezza, lo ammetto, anche con una certa vergogna. In parte, da mamma di due bimbi che lavora a tempo pieno e ha una lista di mille libri da leggere, oltre ad altri mille interessi e faccende da sbrigare, spesso devo scegliere a cosa dedicare il poco tempo che mi resta. Ma molto più spesso questo succede perché sono troppo coinvolta emotivamente nel libro, perché non puoi descrivere qualcosa da fuori quando ci sei ancora dentro.

Ci sono momenti in cui penso che la mia (la nostra?) sia una vera e propria patologia, una specie di psicosi: ci sono libri che mandano in corto circuito qualcosa nel mio cervello, al punto che leggere diventa una delle poche cose a cui riesco a pensare, rendendomi difficile il concentrarmi su altre cose per il bisogno di riprendere il libro in mano e continuare, diventa difficile addormentarmi prima di aver finito il libro e poi, quando questo accade, la lettura mi lascia svuotate, “disidratata”, sfinita, al punto che addormentarsi è comunque arduo. Ci sono stati momenti in cui faticavo ad abbandonare il libro anche per mangiare, faticavo a prestare attenzione a ciò che le altre persone mi dicevano, momenti in cui forse chi mi sgridava per la mia asocialità non aveva poi tutti i torti. Forse sì, sono (siamo?) davvero un po’ matta. Ma poi penso anche che mi è difficile capire come fa la gente a vivere senza provare una passione così intensa per una storia, senza capire quanto – davvero – siamo tutti lì, dentro quelle storie che sappiamo immaginare, raccontare, scrivere e poi leggere: è ciò che ci rende umani. Come scriveva Terry Pretchett, auto-nominarci “Homo sapiens” è stato arrogante, come se potessimo davvero definirci sapienti o saggi in qualche modo, dopo che senza remore mandiamo in malora molte delle cose che tocchiamo con la nostra esistenza. No, non siamo saggi. Siamo solo scimmie, con meno peli delle altre e con, in più, la capacità di raccontare storie e tramandare così la conoscenza, gli avvenimenti, ciò che amiamo, ciò che speriamo o immaginiamo, ciò che è successo, ciò che avrebbe potuto succedere. Ciò che potrebbe ancora succedere. Siamo lì, nelle storie che passano da una mente all’altra, da una penna a un foglio di carta, dallo scrittore al lettore. Siamo Pan narrans, scimmie cantastorie.

Perciò amo molto di più leggere che criticare o esaminare quello che leggo.

Quindi come faccio a farvi capire perché, nelle scorse settimane in cui ho lavorato così tanto per raggiungere l’obiettivo lavorativo che mi ero proposta, ci sono stati alcuni libri che mi hanno salvato il cervello? C’è chi potrebbe chiedersi come può, qualcuno che sta tra computer e scartoffie tutto il giorno, trovare pace e relax in mettersi di nuovo davanti a qualcosa di scritto, per di più in inglese. Ma so che voi non mi farete questa domanda.
Non so davvero cosa dirvi, se non questo: sono libri dei quali vorrei parlare, chiacchierare davanti a una birra per ore, discutere sui personaggi, ricordare i momenti che più mi hanno emozionato e vedere se sono gli stessi che hanno emozionato voi.
Sto parlando della saga Throne of Glass di Sarah J Maas. Nell’ordine i libri sono Throne of Glass, Crown of Midnight, Heir of Fire, Queen of Shadow, ma la saga non è finita, il quinto libro uscirà a Novembre se non ricordo male. È una saga fantasy, in uno dei sensi più “classici” del termine, con magia, rituali, duelli, spade e coltelli. Con una principessa perduta, un regno distrutto, un re malvagio e una storia epica alle spalle, che poco a poco viene svelata. La trama è interessante, vagamente ispirata a Cenerentola all’inizio (a detta dell’autrice), ma con una protagonista che non potrebbe essere più differente, perché aspettare principi e fate madrine proprio non è nelle sue corde.
Finiti i quattro libri (due li avevo già letti diverso tempo fa ma li ho riletti, mentre gli ultimi due erano nuovi per me), ho provato a leggere anche un altro libro della stessa autrice, il primo di una nuova saga, vagamente ispirato alla fiaba della Bella e la Bestia: A Court of Thorns and Roses. Anche qui, lo stile della Maas mi ha conquistata: uno stile che riesce ad essere allo stesso tempo fiabesco e privo di fronzoli inutili. Non saprei come definirlo diversamente.
Uno dei motivi per cui ho trovato rinfrescanti questi libri è l’assenza di tutto ciò che è “primo”: entrambe le protagoniste delle due saghe non sono fanciulle innocenti alle prese con il primo amore. Entrambe hanno una storia alle spalle, che viene svelata poco a poco, ma senza essere approfondita troppo: hanno amato davvero, hanno vissuto quell’amore, hanno perso qualcosa e subito e combattuto, e la storia inizia con una donna già quasi formata, anche se giovane, che deve terminare la propria crescita, non iniziarla da zero. È come quando si conosce una persona nella vita vera: ha un passato, che forse ti racconterà, ma può anche darsi di no perché magari non sono del tutto fatti tuoi, ciò che ti riguarda è la persona che è adesso, alla vita della quale potrai partecipare.


Posso solo dirvi: se vi ispira, provate. Sarò felice di chiacchierare con voi di questi libri, e di mettere un altro bel momento nella mia vita di lettrice.