Volevo scrivere un post con la recensione di alcuni libri
che ho letto. Per giorni ho pensato a cosa scrivere. Poi ho pensato: ma perché
dovrei?
Non mi piace scrivere recensioni. È evidente: il mio profilo
su Goodreads è desolato, quello su amazon pure e su Anobii nemmeno ho mai
pensato di farne uno. Mi rendo conto che è intrinsecamente egoista, perché poi
adoro quando qualcuno le recensioni le fa a me.
Non fraintendetemi: adoro parlare dei libri che leggo. Adoro
chiacchierare di libri e di letture, magari davanti a una birra, raccogliere
consigli, notare le differenze tra i miei gusti e quelli degli altri, vedere
come si colgono aspetti diversi dello stesso libro, o dello stesso personaggio,
con impressioni a volte proprio agli antipodi. Sarò grata in eterno per serate
come quella che ho appena descritta e so di essere stata fortunata: nella mia
vita ci sono stati tanti momenti così, con molte persone diverse, fin da quando
ero bambina.
Sono cresciuta con i libri, l’ho scritto anche nell’incipit
del mio libro di fiabe. Circondata dai libri, sepolta dai libri, con una madre
meravigliosa che magari non mi comprava vestiti costosi, o mi faceva aspettare
Babbo Natale per la Barbie che desideravo, ma mi ha sempre detto che i soldi
spesi in libri non vanno mai rimpianti. Sono cresciuta lettrice ed è quello che
resto, che voglio rimanere. Sono una lettrice, non un critico. E sono anche molto
più lettrice di quanto io non sia scrittrice.
Fatico molto a formulare opinioni sui libri che leggo, a
coordinare i pensieri in modo lineare, obiettivo, completo, un’opinione che altri
possano trovare utile nel momento in cui vogliono decidere se leggere o meno
quel libro, insomma. Se un libro non mi è piaciuto preferisco semplicemente
tacere, smettere di considerarlo o di pensare ad esso, elaborare una recensione
negativa, o peggio denigrante, mi sembrerebbe uno spreco di tempo, tempo che
potrei utilizzare leggendo libri migliori. Raramente ho trovato recensioni
negative utili, nel momento in cui ero io a dover scegliere se leggere un libro
o meno, e soltanto quando si specificava l’eventuale mancanza di correttezza
linguistica del romanzo. Ogni altro tipo di commento negativo difficilmente
riesce a spostare la mia decisione: troppo opinabile, troppo dipendente dal
gusto personale o anche dallo stato d’animo della persona che ha formulato il
giudizio negativo. Al contrario, una recensione positiva può attirare la mia
attenzione su qualcosa che altrimenti non avrei scelto: chi usa parte del
proprio tempo per esporre i motivi per cui ha trovato di proprio gradimento un
libro ha tutto il mio rispetto, la mia ammirazione e il mio ringraziamento, nel
momento in cui proprio grazie a quel commento scopro romanzi o autori che
altrimenti non avrei considerato. Io però raramente riesco a ricambiare questa
enorme gentilezza, lo ammetto, anche con una certa vergogna. In parte, da mamma
di due bimbi che lavora a tempo pieno e ha una lista di mille libri da leggere,
oltre ad altri mille interessi e faccende da sbrigare, spesso devo scegliere a
cosa dedicare il poco tempo che mi resta. Ma molto più spesso questo succede perché
sono troppo coinvolta emotivamente nel libro, perché non puoi descrivere
qualcosa da fuori quando ci sei ancora dentro.
Ci sono momenti in cui penso che la mia (la nostra?) sia una
vera e propria patologia, una specie di psicosi: ci sono libri che mandano in
corto circuito qualcosa nel mio cervello, al punto che leggere diventa una
delle poche cose a cui riesco a pensare, rendendomi difficile il concentrarmi
su altre cose per il bisogno di riprendere il libro in mano e continuare, diventa
difficile addormentarmi prima di aver finito il libro e poi, quando questo
accade, la lettura mi lascia svuotate, “disidratata”, sfinita, al punto che
addormentarsi è comunque arduo. Ci sono stati momenti in cui faticavo ad
abbandonare il libro anche per mangiare, faticavo a prestare attenzione a ciò
che le altre persone mi dicevano, momenti in cui forse chi mi sgridava per la
mia asocialità non aveva poi tutti i torti. Forse sì, sono (siamo?) davvero un
po’ matta. Ma poi penso anche che mi è difficile capire come fa la gente a
vivere senza provare una passione così intensa per una storia, senza capire
quanto – davvero – siamo tutti lì, dentro quelle storie che sappiamo immaginare,
raccontare, scrivere e poi leggere: è ciò che ci rende umani. Come scriveva
Terry Pretchett, auto-nominarci “Homo sapiens”
è stato arrogante, come se potessimo davvero definirci sapienti o saggi in
qualche modo, dopo che senza remore mandiamo in malora molte delle cose che
tocchiamo con la nostra esistenza. No, non siamo saggi. Siamo solo scimmie, con
meno peli delle altre e con, in più, la capacità di raccontare storie e
tramandare così la conoscenza, gli avvenimenti, ciò che amiamo, ciò che
speriamo o immaginiamo, ciò che è successo, ciò che avrebbe potuto succedere.
Ciò che potrebbe ancora succedere. Siamo lì, nelle storie che passano da una
mente all’altra, da una penna a un foglio di carta, dallo scrittore al lettore.
Siamo Pan narrans, scimmie
cantastorie.
Perciò amo molto di più leggere che criticare o esaminare
quello che leggo.
Quindi come faccio a farvi capire perché, nelle scorse
settimane in cui ho lavorato così tanto per raggiungere l’obiettivo lavorativo che
mi ero proposta, ci sono stati alcuni libri che mi hanno salvato il cervello? C’è
chi potrebbe chiedersi come può, qualcuno che sta tra computer e scartoffie
tutto il giorno, trovare pace e relax in mettersi di nuovo davanti a qualcosa
di scritto, per di più in inglese. Ma so che voi non mi farete questa domanda.
Non so davvero cosa dirvi, se non questo: sono libri dei
quali vorrei parlare, chiacchierare davanti a una birra per ore, discutere sui
personaggi, ricordare i momenti che più mi hanno emozionato e vedere se sono
gli stessi che hanno emozionato voi.
Sto parlando della saga Throne of Glass di Sarah J Maas. Nell’ordine
i libri sono Throne of Glass, Crown of Midnight, Heir of Fire, Queen of Shadow,
ma la saga non è finita, il quinto libro uscirà a Novembre se non ricordo male.
È una saga fantasy, in uno dei sensi più “classici” del termine, con magia, rituali,
duelli, spade e coltelli. Con una principessa perduta, un regno distrutto, un
re malvagio e una storia epica alle spalle, che poco a poco viene svelata. La
trama è interessante, vagamente ispirata a Cenerentola all’inizio (a detta dell’autrice),
ma con una protagonista che non potrebbe essere più differente, perché aspettare
principi e fate madrine proprio non è nelle sue corde.
Finiti i quattro libri (due li avevo già letti diverso tempo
fa ma li ho riletti, mentre gli ultimi due erano nuovi per me), ho provato a leggere
anche un altro libro della stessa autrice, il primo di una nuova saga,
vagamente ispirato alla fiaba della Bella e la Bestia: A Court of Thorns and
Roses. Anche qui, lo stile della Maas mi ha conquistata: uno stile che riesce
ad essere allo stesso tempo fiabesco e privo di fronzoli inutili. Non saprei
come definirlo diversamente.
Uno dei motivi per cui ho trovato rinfrescanti questi libri
è l’assenza di tutto ciò che è “primo”: entrambe le protagoniste delle due
saghe non sono fanciulle innocenti alle prese con il primo amore. Entrambe hanno
una storia alle spalle, che viene svelata poco a poco, ma senza essere
approfondita troppo: hanno amato davvero, hanno vissuto quell’amore, hanno
perso qualcosa e subito e combattuto, e la storia inizia con una donna già quasi
formata, anche se giovane, che deve terminare la propria crescita, non
iniziarla da zero. È come quando si conosce una persona nella vita vera: ha un
passato, che forse ti racconterà, ma può anche darsi di no perché magari non
sono del tutto fatti tuoi, ciò che ti riguarda è la persona che è adesso, alla
vita della quale potrai partecipare.
Posso solo dirvi: se vi ispira, provate. Sarò felice di
chiacchierare con voi di questi libri, e di mettere un altro bel momento nella
mia vita di lettrice.