Ho letto di
recente “The art of asking” di Amanda Palmer e l’ho adorato, è un libro che
consiglio a chiunque, anche alle persone, come me, che non si sono mai fatte
problemi a chiedere aiuto quando ne avevano bisogno. Non sono una persona che
si chiude in se stessa, che aspetta che siano gli altri a capire che ho bisogno
di aiuto o che ho bisogno di un abbraccio: lo chiedo, con la consapevolezza che
gli altri hanno diritto di rispondere di no. “Chiedere è lecito, rispondere è
cortesia”: nessuno ha mai detto “rispondere di sì è cortesia”. Perciò per me il
problema non è mai stato chiedere, anzi sono convinta che sia una grande
risorsa in momenti di crisi.
Il mio problema
è il non sentirmi in colpa quando gli altri rispondono SI. E questo è un altro
aspetto importante della questione, di cui mi sono resa conto leggendo “The art
of asking” e sui cui avevo sempre riflettuto poco.
Chiedere può
essere difficile.
Accettare,
senza sentirsi in colpa, può esserlo ancora di più.
Quando
qualcuno mi aiuta, o mi ascolta, anche se so che avrebbe altro da fare, altro
per la testa.
Quando mia
madre si prende un permesso dal lavoro al posto mio e va prendere uno dei
bambini perché c’è stato un imprevisto, perché io lavoro più lontano e mi muovo
in treno e ci metterei due ore a tornare a casa.
Quando mia
suocera tiene i bambini nei pomeriggi liberi, lei che con i bambini ci lavora
tutti i santi giorni so che, davvero, ne ha le palle un pochino piene.
Quando mia
nonna fa il minestrone per i bimbi, o le patate al forno, o la torta che a loro
piace per colazione, perché io arrivo a casa tardi e non ho tempo di cucinare.
Sono una mamma
che lavora a tempo pieno, ho la fortuna di avere una famiglia che mi aiuta e
non mi faccio problemi a chiedere aiuto, ma poi mi sento in colpa, perché so
che in fondo i figli sono miei, il cane è mio, e anche quelle camicie che mia
nonna stira (guardando La Vita in Diretta in televisione, Cristo Santo, ma quei
sei neuroni che ha ancora buoni non li potrebbe preservare?) delle volte sono
mie. Sarebbero tutte mie responsabilità, mie cose da fare, mie situazioni da
gestire (cioè, NOSTRE, perché ho anche un marito). Mi sento in colpa perché penso
che i nostri genitori hanno fatto a loro volta i genitori trent’anni fa, si
sono gestiti le proprie situazioni, i figli, le cose da stirare, i minestroni
da preparare, e non è giusto che adesso si ritrovino pure le nostre rotture di
scatole sul groppone: questo dovrebbe essere il momento in cui, con i figli
cresciuti e fuori di casi, possono godersi un po’ di meritata pace.
La colpa è
un sentimento orribile, parassita, velenoso. È il sentimento che più odio in
assoluto, e anche l’odio è un sentimento ma lo considero più produttivo della
colpa. Ecco qual è il problema della colpa: non è produttivo, non riesce a
spronarti a fare qualcosa di più, non ti aiuta a risolvere la situazione,
avvelena le gioie e basta.
Perciò è da
questo mio odio che nasce il mio augurio di Natale per tutte le persone che
questo post riuscirà a raggiungere, e che magari soffrono della mia stessa,
debilitante tendenza al senso di colpa: vi auguro di riuscire a sentirvi meno
in colpa, qualunque sia la parte della vostra vita che rischia o può rischiare
di essere stritolata da questo parassita.
Non
permettetelo.
Non
sentitevi in colpa se siete malati e qualcuno si prende cura di voi. Se lo fa,
vi vuole abbastanza bene da non sentirlo come un peso.
Non sentitevi in colpa se avete bisogno di parlare e qualcuno vi ascolta. Se resta lì vuol dire che considera le altre cose da fare trascurabili rispetto al desiderio di stare con voi, di darvi conforto, di ascoltarvi, di farvi sentire amati.
Non sentitevi in colpa se avete bisogno di parlare e qualcuno vi ascolta. Se resta lì vuol dire che considera le altre cose da fare trascurabili rispetto al desiderio di stare con voi, di darvi conforto, di ascoltarvi, di farvi sentire amati.
Non
sentitevi in colpa se state bene e siete felici, nonostante qualcuno che voi
conoscete è triste o sta vivendo un periodo difficile. A meno che non siate voi
la causa di quel problema, questa colpa non ha ragione di esistere: non
risolverete i problemi di salute di qualcun altro ammalandovi anche voi, non
risolverete la sua depressione reprimendo la vostra gioia.
Non
sentitevi in colpa se la vostra famiglia vi aiuta, se i vostri genitori vi
danno una mano nella gestione della famiglia: a loro volta, forse, hanno avuto
l’aiuto dei vostri nonni, o lo avrebbero desiderato.
Fatevi un
regalo questo Natale: chiedete, perché, come dice Amanda Palmer, meritate di
farlo, ne avete il diritto, tutti lo hanno. E, ancora più importante, accettate,
senza sensi di colpa, ogni abbraccio, ogni aiuto, ogni pacchetto luccicante che
la vita vi fa trovare sotto l’albero.
Accettate,
non perché in passato avete dato o perché vi ripromettete di dare in modo
equivalente in futuro: mettete via la calcolatrice. Accettate e basta, tutto il
resto verrà da sé: la gioia, il sollievo, il conforto non avvelenati dal senso
di colpa vi renderanno incapaci di non dare a vostra volta, nel momento in cui
sarete nella condizione di farlo.
Buon Natale
a tutti!