mercoledì 23 dicembre 2015

La cosa più difficile



Ho letto di recente “The art of asking” di Amanda Palmer e l’ho adorato, è un libro che consiglio a chiunque, anche alle persone, come me, che non si sono mai fatte problemi a chiedere aiuto quando ne avevano bisogno. Non sono una persona che si chiude in se stessa, che aspetta che siano gli altri a capire che ho bisogno di aiuto o che ho bisogno di un abbraccio: lo chiedo, con la consapevolezza che gli altri hanno diritto di rispondere di no. “Chiedere è lecito, rispondere è cortesia”: nessuno ha mai detto “rispondere di sì è cortesia”. Perciò per me il problema non è mai stato chiedere, anzi sono convinta che sia una grande risorsa in momenti di crisi.
Il mio problema è il non sentirmi in colpa quando gli altri rispondono SI. E questo è un altro aspetto importante della questione, di cui mi sono resa conto leggendo “The art of asking” e sui cui avevo sempre riflettuto poco.
Chiedere può essere difficile.
Accettare, senza sentirsi in colpa, può esserlo ancora di più.
Quando qualcuno mi aiuta, o mi ascolta, anche se so che avrebbe altro da fare, altro per la testa.
Quando mia madre si prende un permesso dal lavoro al posto mio e va prendere uno dei bambini perché c’è stato un imprevisto, perché io lavoro più lontano e mi muovo in treno e ci metterei due ore a tornare a casa.
Quando mia suocera tiene i bambini nei pomeriggi liberi, lei che con i bambini ci lavora tutti i santi giorni so che, davvero, ne ha le palle un pochino piene.
Quando mia nonna fa il minestrone per i bimbi, o le patate al forno, o la torta che a loro piace per colazione, perché io arrivo a casa tardi e non ho tempo di cucinare.
Sono una mamma che lavora a tempo pieno, ho la fortuna di avere una famiglia che mi aiuta e non mi faccio problemi a chiedere aiuto, ma poi mi sento in colpa, perché so che in fondo i figli sono miei, il cane è mio, e anche quelle camicie che mia nonna stira (guardando La Vita in Diretta in televisione, Cristo Santo, ma quei sei neuroni che ha ancora buoni non li potrebbe preservare?) delle volte sono mie. Sarebbero tutte mie responsabilità, mie cose da fare, mie situazioni da gestire (cioè, NOSTRE, perché ho anche un marito). Mi sento in colpa perché penso che i nostri genitori hanno fatto a loro volta i genitori trent’anni fa, si sono gestiti le proprie situazioni, i figli, le cose da stirare, i minestroni da preparare, e non è giusto che adesso si ritrovino pure le nostre rotture di scatole sul groppone: questo dovrebbe essere il momento in cui, con i figli cresciuti e fuori di casi, possono godersi un po’ di meritata pace.
La colpa è un sentimento orribile, parassita, velenoso. È il sentimento che più odio in assoluto, e anche l’odio è un sentimento ma lo considero più produttivo della colpa. Ecco qual è il problema della colpa: non è produttivo, non riesce a spronarti a fare qualcosa di più, non ti aiuta a risolvere la situazione, avvelena le gioie e basta.
Perciò è da questo mio odio che nasce il mio augurio di Natale per tutte le persone che questo post riuscirà a raggiungere, e che magari soffrono della mia stessa, debilitante tendenza al senso di colpa: vi auguro di riuscire a sentirvi meno in colpa, qualunque sia la parte della vostra vita che rischia o può rischiare di essere stritolata da questo parassita.
Non permettetelo.
Non sentitevi in colpa se siete malati e qualcuno si prende cura di voi. Se lo fa, vi vuole abbastanza bene da non sentirlo come un peso.
Non sentitevi in colpa se avete bisogno di parlare e qualcuno vi ascolta. Se resta lì vuol dire che considera le altre cose da fare trascurabili rispetto al desiderio di stare con voi, di darvi conforto, di ascoltarvi, di farvi sentire amati.
Non sentitevi in colpa se state bene e siete felici, nonostante qualcuno che voi conoscete è triste o sta vivendo un periodo difficile. A meno che non siate voi la causa di quel problema, questa colpa non ha ragione di esistere: non risolverete i problemi di salute di qualcun altro ammalandovi anche voi, non risolverete la sua depressione reprimendo la vostra gioia.
Non sentitevi in colpa se la vostra famiglia vi aiuta, se i vostri genitori vi danno una mano nella gestione della famiglia: a loro volta, forse, hanno avuto l’aiuto dei vostri nonni, o lo avrebbero desiderato.
Fatevi un regalo questo Natale: chiedete, perché, come dice Amanda Palmer, meritate di farlo, ne avete il diritto, tutti lo hanno. E, ancora più importante, accettate, senza sensi di colpa, ogni abbraccio, ogni aiuto, ogni pacchetto luccicante che la vita vi fa trovare sotto l’albero.
Accettate, non perché in passato avete dato o perché vi ripromettete di dare in modo equivalente in futuro: mettete via la calcolatrice. Accettate e basta, tutto il resto verrà da sé: la gioia, il sollievo, il conforto non avvelenati dal senso di colpa vi renderanno incapaci di non dare a vostra volta, nel momento in cui sarete nella condizione di farlo.
Buon Natale a tutti!




2 commenti:

  1. Bellissima riflessione questa sul senso di colpa, spesso un po' snobbato. Mi ci ritrovo molto. Libro già in lista! ;-)

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