“Apri,
per favore. Ho le braccia piene, non so dove ho le chiavi.”
Flavio
sorrise al citofono, aprì la porta del condominio poi uscì dall’appartamento
per correre incontro a Pamela sulle scale. Si incrociarono sul pianerottolo del
primo piano e Flavio le prese dalle braccia un grosso scatolone; Pamela
respirò.
“Grazie.
Era pesante.”
“Freddo
fuori?” chiese Flavio.
“Si
gela.”
“Melania?”
“Con
mia madre. Ho pensato di prendermi una serata, magari andiamo al cinema: è quasi
di un mese che non usciamo.”
Flavio,
che intanto era arrivato alla fine delle scale, lasciò passare Pamela, poi
entrò nell’appartamento e si richiuse la porta alle spalle con un calcio.
“Ok.
Io devo ancora farmi la doccia, però. Tu intanto inizia a sistemare un po’
delle tue cose, ti ho liberato metà dell’armadio.”
“Ok,
tranquillo.”
Pamela
seguì il suo ingresso in bagno con la coda dell’occhio.
Jeans da lavoro ancora
integri. Dovevano essere stregati, non c’era altra spiegazione.
Sorrise
tra sé e lasciò cadere la giacca umida sul divano. Una pioggia gelida aveva
iniziato a cadere dal cielo scuro e minacciava di trasformarsi in neve durante
la notte; Pamela guardò fuori dalla finestra e si costrinse a non sentirsi in
colpa per aver lasciato Melania dalla nonna. Era improbabile che cadesse tanta
neve da impedirle di mettersi in strada la mattina successiva per tornare da
lei.
Cominciò
a togliere alcune cose dallo zaino per metterle nell’armadio. Quei maglioni e
pantaloni pesanti che si accumulavano sul ripiano facevano sembrare giugno
ancora molto lontano, e con esso, anche il matrimonio - per cui la famiglia di
Flavio stava già letteralmente andando in crisi isterica, mentre il Vecchio si
era chiuso in un ostinato, e chiaramente emozionato, silenzio - sembrava un obiettivo
quasi irreale. Non vivevano ancora insieme, ufficialmente, ma Pamela aveva già
iniziato a pensare a quell’appartamento come a “casa”: era stato naturale
portare qui parte delle proprie cose.
E delle cose di Melania,
pensò, tirando fuori dallo scatolone la coperta che Sabrina aveva regalato ad
entrambe per il loro primo Natale. La lanciò sul lettino che ora troneggiava
nell’angolo della camera da letto, dove prima c’era la scrivania di Flavio. Era
successo all’improvviso: un giorno era arrivata e la scrivania era sparita, volata sul soppalco/ripostiglio che
prima ospitava solo un mucchio di cuscini, una vecchia televisione e la play
station di Flavio. Il soppalco era stato ripulito delle cianfrusaglie ed era
diventato uno studio, e Melania aveva guadagnato quel - discutibile - posto d’onore
a pochi metri dal lettone.
Pamela
ancora si chiedeva dove fosse la fregatura.
Il gattone rosso che
regolarmente saltava a dormirle sui piedi sembrava un ben misero contrappasso
per tutto ciò che aveva ricevuto dal destino negli ultimi due anni.
Flavio
uscì dal bagno e trovò Pamela che già si stava cambiando per uscire.
“Pensavo
volessi andare al cinema. Non è un po’ presto?”
Pamela
gli sorrise, sbucando dal collo alto di un maglione nero aderente. Le gambe
lunghe erano ancora nude.
“Andiamo
prima a prendere un aperitivo, o a fare un giro,” disse avvicinandosi e
facendogli scivolare le braccia attorno al collo. I capelli sulla nuca erano
ancora umidi. “Ho voglia di uscire e mi sento in colpa a tenerti sempre in casa
per colpa di Melania.”
Flavio
alzò gli occhi al soffitto, sbuffando, poi afferrò Pamela per le gambe e se la
caricò in spalla; Pamela strillò, ridendo.
“O
la smetti o ti lancio sul letto e ti faccio il solletico finchè non implori
pietà.”
Pamela
si contorceva ridendo.
“No,
ti prego, ti prego…”
Flavio
la rovesciò sul letto poi le bloccò i polsi ai lati del viso. Il viso di lui
era a pochi centimetri da quello di Pamela, e nei suoi occhi danzava un sorriso.
“Se
hai voglia di uscire, usciamo. Ma non dire che lo fai per me.”
Pamela
si allungò per baciarlo.
“Ok,”
sussurrò.
“Per
me possiamo anche stare tutta la sera a mettere i tuoi libri nella libreria.
Non è un problema.”
Pamela
si mise a ridere.
“Per
quelli non basterebbe una sera! Ma per tua fortuna non li ho ancora portati.”
“E
allora nello scatolone cosa c’era?”
Pamela
sgusciò via da lui, ridendo.
“Vieni!”
Corse
in cucina, a piedi nudi e indicò qualcosa sul ripiano vicino al fornello.
Flavio arrivò un minuto dopo e notò ciò che prima non c’era: una macchina per
il caffè espresso. Anzi: la macchina
per il caffè espresso, quella che lui le aveva regalato per Natale, quando
ancora Pamela pensava che la sua vita fosse troppo complicata per poter
includere anche lui.
La
loro macchina del caffè.
Flavio
le sorrise.
“Adesso
la senti come casa tua?”
Pamela
annuì.
“Sta
bene lì, no?”
Flavio
finse di valutare la resa estetica del nuovo elettrodomestico, poi scosse la
testa.
“No,
manca qualcosa.”
Velocissimo,
acchiappò Pamela per la vita e la sollevò, mettendola a sedere sul ripiano, di
fianco alla macchina per il caffè. Pamela rise, attirandolo verso di sé e
Flavio si sistemò tra le sue gambe nude, accarezzandole piano piano.
“Adesso
è perfetta,” mormorò sulle labbra di lei, “Penso che dovrò tenerti qui,
altrimenti manca qualcosa…”
“Qui,
sul ripiano della cucina, intendi?”
La
domanda era scherzosa ma Flavio ci mise un po’ a rispondere, impegnato com’era
a far scivolare le mani dalle ginocchia alla vita, lentamente, insinuandole
sotto al maglione.
“Sul
ripiano, sul tavolo, sul divano, sul letto,” elencò lui, torturandole il collo
con le labbra. Nella sua voce c’era divertimento, serenità, e anche qualcosa di
più. “Dove vuoi, come vuoi: basta che tu ci sia.”
Pamela
inghiottì il nodo di emozioni che all’improvviso le aveva chiuso la gola.
“Non
vado da nessuna parte. Ma sono un po’ ingombrante come soprammobile,” mormorò.
La
frase era formulata al singolare, ma tutti e due sapevano a cosa si stava
riferendo Pamela. L’ormai logorroico
avvertimento, l’ombra di paura sempre in agguato: che insieme a lei c’era una
bambina, che la bambina non era sua, e che prendere una significava dover
prendere anche l’altra. Un accordo davanti al quale molti sarebbero scappati.
Flavio
strinse possessivamente le mani sui glutei di Pamela: quando entravano in quel
discorso era sempre come se lei, impercettibilmente, tentasse di scivolargli
via tra le dita come neve sciolta.
“Senza
di voi non ci sarebbe niente qui.”
Qui, in questa casa.
Qui, nel mio cuore.
Flavio
la baciò, schiacciandosi contro di lei.
“Siamo
già una famiglia. Il fatto che stasera sia contento che siamo solo noi non vuol
dire che questo posto sia completo senza di lei.”
Pamela
finì di slacciargli la camicia e accarezzo quella pelle nuda, in silenzio per
il timore che la voce tradisse le lacrime di gratitudine che volevano uscire
ogni volta che lui le parlava in quel modo.
Quando
fu sicura di poter parlare di nuovo sollevò le braccia sopra la testa,
invitandolo a sfilarle il maglione.
“Allora
approfittiamo di questa serata, che domattina le ho promesso di tornare a
prenderla per una colazione al bar,” sussurrò.
“Mi
sa che abbiamo perso lo spettacolo.”
Pamela
era persa nel calore della pelle di lui: la schiena appoggiata al suo petto, la
testa sul suo braccio, le loro gambe intrecciate. La luce tenue dei lampioni entrava
dalla finestra, illuminando i fiocchi di neve che avevano iniziato a cadere.
Sul pavimento, di fianco al divano su cui erano sdraiati, c’erano una bottiglia
di vino ancora a metà e due bicchieri: uno si era rovesciato, dovevano averlo
urtato senza accorgersene.
“Lo
abbiamo dato noi, lo spettacolo,” mormorò Pamela, accennando alla finestra
della casa vicina, dalla quale chiunque avrebbe potuto osservare comodamente cosa
era successo dentro la loro cucina. L’appartamento di Flavio non aveva tende.
Non ancora,
pensò Pamela. Era l’unica cosa su cui si sarebbe impuntata prima di trasferirsi
ufficialmente: abituata a vivere in campagna, non le veniva naturale pensare
che qualcuno avrebbe potuto vederla mentre girava per casa seminuda.
Flavio
ridacchiò.
“Là
ci vive una vecchietta che sarà a letto almeno da due ore.”
“Se
lo dici tu…”
Il
ragazzo la costrinse a voltarsi verso di lui. Nella penombra i suoi occhi
brillavano di un’emozione quasi infantile.
“Non
preoccuparti,” disse. “Ho iniziato a fare dei disegni.”
Pamela
sollevò un sopracciglio.
“Per
le tende?”
Ci voleva un progetto
per mettere su le tende?
Flavio
rise.
“Per
il fienile.”
Pamela
ci mise due minuti buoni a capire che lui si stava riferendo al vecchio fienile
dietro casa dei suoi genitori. Spalancò gli occhi.
“Pensi
che i tuoi ci permetteranno di ristrutturarlo? Ci vorrà del tempo, e dovremmo
fare un po’ di sacrifici, ma…” Flavio parlava in fretta, eccitato come un
bambino e, allo stesso tempo, quasi impaurito da quella che avrebbe potuto
essere la reazione di lei.
Pamela
lo azzittì con un bacio.
“Dov’è
la fregatura?” mormorò ridendo.
Flavio
sorrise.
“La
fregatura è che adesso non mi va per niente di uscire, ma oggi non ho fatto la
spesa e in casa ho solo un pacchetto di patatine.”
“Poteva
andare peggio,” rispose Pamela, “poteva essere finito il vino.”
NOTA:
Non ho mai vissuto particolarmente la festa di San Valentino, non l'ho mai sentita come speciale, e questo è il motivo per cui non ho esplicitamente ambientato questa scena con Flavio e Pamela nella serata a San Valentino. Tuttavia crescendo ho imparato che la vita ci mette davanti tante prove, tanti imprevisti, e ogni occasione può essere bella per festeggiare, anche perchè poi, magari, durante le feste a cui tieni, ti tocca stare a casa perchè un bimbo è malato, o andare al pronto soccorso perchè il nonno è caduto, o semplicemente ci sono altri guai, altri problemi che calamitano la tua attenzione. Perciò non mi vergogno ad augurare a chiunque abbia qualcuno da amare oggi, Buon San Valentino!
Bellissimo <3 Che storia stupenda che ci hai regalato! Perché davvero a volte basta davvero pochissimo!
RispondiEliminaGrazie carissima! è banale, ma a volte un po' di dolcezza fine a se stessa fa bene!
EliminaGrazie per questo regalino! E' sempre un piacere leggere di Pamela e Flavio. Un bacione.
RispondiEliminaGrazie a te per essere passata!
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