Ho avuto momenti brutti questa primavera. Lavorativamente.
Emotivamente. Personalmente. Sono stata molto stanca, molto stressata, molto
preoccupata. Ci sono state attorno a me persone che non stavano bene. Ci sono
stati bambini che avevano bisogno di mille cure sfinenti, mille aerosol, mille
colliri, mille sciroppi, mille attenzioni. Mille sorrisi che in certi momenti
era davvero fatica concedere, ma che poi era difficile frenare. Mille abbracci
che spesso rappresentavano uno dei pochi momenti luminosi della giornata. Tante
serate sfinite, a dormire sul divano con la TV accesa e la testa appoggiata su
una spalla che, per fortuna, non si è mai scansata.
Ci sono stati momenti in cui l’ironia e il sarcasmo cattivo
erano l’unico modo di ridere.
Sono momenti. La vita è fatta di questi e di altri, e mentre
aspetti gli altri cerchi di tenere insieme i pezzi durante questi.
Durante questi momenti leggere è sempre stato il mio porto
sicuro. Leggo molto quando sono serena perché la mia mente si apre al nuovo con
più facilità. Rileggo molto durante i momenti bui perché ci sono libri nella
mia vita che rappresentano dei fari, delle sicurezze, delle funi a cui
attaccarmi. Ma leggo, sempre e comunque.
Ci sono luoghi letterari – Armida, Castel Aldaran, Arilinn,
Hogwarts, The Dreaming, la Vecchia Capitale, Terre D’Ange, il Distretto 12 – in
cui mi sento al sicuro. Ci sono sensazioni che non ho mai provato nella vita –
il freddo ventoso degli Hellers, la penombra del sole rosso sul lago di nebbia
di Hali, la pressione dei nastri di un corsetto nero sotto un abito bianco, il vociare
di Diagon Alley – che mi sono familiari come poco altro nella vita reale.
Leggo in treno, tantissimo, perché è una pausa che mi
ricarica dopo l’uscita dal lavoro e prima di rientrare in casa, dove l’orda
barbarica attende la propria dose di sorrisi, abbracci, attenzioni (e piatti in
tavola e mutande pulite e pavimenti su cui camminare senza prendere il tetano,
sì, anche quello). È una pausa dal mondo di cui sento fisicamente il bisogno.
Venticinque minuti che sono miei e soltanto miei.
Penso che ci siano molte persone come me: le ho viste, con
la coda dell’occhio, che non sollevano lo sguardo dal kindle o dal libro, o che
guardano furtivi al di sopra di esso, sperando che nessuno con la voglia di
chiacchierare si sieda vicino a loro. O che fanno finta di non sentire se
qualcuno li saluta. Perché magari alla mattina abbiamo anche voglia di
chiacchierare con chi prende il treno con noi, ma a volte abbiamo solo voglia
di leggere, di non essere costretti ad ascoltare, di non essere per forza
interessati. Abbiamo voglia di noi. E non è maleducazione, non è sociopatia: è
solo voglia di silenzio, di mondi lontani o di storie vicine, di dialoghi
divertenti o di descrizioni commoventi.
Perciò, pendolari e avventori dei mezzi pubblici, se vedete
qualcuno leggere (o scrivere al computer) non pensate che lo stia facendo
perché si annoia o perché non ha nessuno con cui chiacchierare. NON VUOLE
nessuno con cui chiacchierare. Non vuole parlare, né con voi né con altri, non
è un fatto personale. Ha voglia di rilassare il viso in espressioni che non
siano quelle tirate di circostanza che a volte sei costretto ad assumere sul
lavoro, ha voglia di rilassare la bocca perché magari ha parlato tutto il
giorno, ha voglia di non dover avere un’opinione su qualcosa, di non doversi
esprimere.
Mi sono fatta l’idea che per alcuni sia difficile da capire,
forse ci sono persone che il silenzio proprio non lo sopportano, che non
concepiscono avere vicino qualcuno e non chiacchierarci. (Poi magari sono le
stesse persone che mentre ti parlano non riescono a non scorrere facebook sul
cellulare, ma va bene anche quello.)
Vi facilito le cose:
Se sto leggendo, non parlarmi.
Se sto scrivendo al computer, non parlarmi.
Se ti rispondo distrattamente che il posto di
fianco a me è libero e mi rimetto a leggere, non è un invito a chiacchierare, è
solo una constatazione del fatto che lì non deve sedersi nessuno.
Se ti saluto è perché sono educata, non perché
ho voglia di chiacchierare.
Se ti sembra che non abbia voglia di ascoltarti
non è una tua impressione: non ho voglia di ascoltarti.
Se chiudo il libro mentre mi parli (sempre
perché sono educata) ma lascio il dito in mezzo
alle pagine non è perché mi sono dimenticata a casa un segnalibro: è un
chiaro invito a smettere di parlare e lasciarmi tornare a leggere. (E sì, non
uso segnalibri, lo ammetto, sono uno di quei mostri che piegano le orecchie
delle pagine.)
Non chiedermi cosa leggo o cosa scrivo, più che
altro perché poi mi chiederai automaticamente “ma è bello? Ma che genere è? Ma
di cosa parla?” e, no, fidati, non sei pronto per avere questa conversazione
con un vero lettore. Non in treno, alle sei di sera, con soli venti minuti a
disposizione davanti.
Non pensare che farmi i complimenti perché leggo
in inglese sia un buon modo per attaccare bottone: non mi metterò a parlare in
inglese per divertirti, non ti farò lezione privata e non ti spiegherò come ho
imparato l’inglese. Studia, capra. Studia e leggi.
Se mi accusi di asocialità perché ho sempre
l’e-reader in mano e ti rispondo male (o volgarmente, dipende dai giorni), non
lamentarti: … no, questa non te la spiego neanche. Fidati.
Comprati un libro e mettiti a leggere. C’è una
minima probabilità che poi tu miracolosamente afferri il senso dei nove punti
esplicati sopra. Minima.
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